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W LA BICI BORGHESE da “Cronache Malatestiane”
di Giuliano Bonizzato (Socio fondatore Gruppo Cicloturisti ENDAS Rimini) La tragicomica vicenda della delibera sul posto auto gratuito per assessori, consiglieri e familiari -esteso a tutto il territorio urbano- con sollevazione popolare generale, raccolta di firme e virata a trecentosessanta gradi dei responsabili, lungi dal farmi sganasciare dalle risa, come sarebbe avvenuto ai tempi della mia lontana giovinezza, mi ha viceversa indotto ad esaminare la vicenda sotto un profilo sociologico, storico e, già che c'ero, pure politico. Intanto -primo motivo di meditazione- la delibera è stata approvata quasi all'unanimità, a dimostrazione che, per quanto attiene il comfort, il consociativismo ha la pelle dura come il cuoio. Morbido e delicato come un panno Lenci -secondo motivo di meditazione- è invece il culo di chi pur facendo fuoco e fiamme contro la borghesia e i suoi status simbol, e pur essendo dotato di solidi polpacci e salute di ferro, stranamente disdegna l'umile bicicletta come mezzo di locomozione per recarsi a Palazzo Garampi e dintorni. Terzo e più complesso motivo di meditazione. Il velocipede, nato borghese, quando le autovetture non erano state ancora inventate, divenuto proletario dopo l'avvento di quest' ultime, ritornato infine (anche) borghese allorchè professionisti, impiegati, industriali e commercianti hanno finalmente snobbato le loro quattro ruote sfidando il traffico cittadino sulle nuove piste ciclabili per ragioni di praticità e di salute, come si è storicamente rapportato con i rappresentanti dei movimenti sindacali ed operai a partire dalla fine dell'ottocento fino ai giorni nostri? Ce lo spiega -in parte- Stefano Pivato nel suo libro "La bicicletta e il Sole dell'Avvenire edito nel 1992 (Ponte alle Grazie), che tratta del periodo fino alla Prima Guerra Mondiale, quando il velocipede viene considerato dai dirigenti dei partiti rivoluzionari come uno sfizio della classi più agiate da osteggiarsi anche sotto il profilo delle competizioni sportive. Tanto per cominciare, a Faenza, una ordinanza del Sindaco socialista vietò nel 1894 a quei borghesi dei velocipedisti (fischiatissimi dal popolo) l'accesso alla città. Nel 1910 un volantino firmato da socialisti e anarchici considerava il neonato Giro d'Italia come "uno dei tranelli che l'attuale sistema di governo plutocratico e borghese ha teso all'inconsapevole dabbenaggine delle moltitudini". Dopo la Grande Guerra, la bicicletta, ora accessibile alle masse, si trasforma in un simbolo del proletariato e viene addirittura adottata come mezzo di collegamento e volantinaggio durante scioperi e manifestazioni. Nasce in questo periodo la "Federazione Nazionale dei Ciclisti Rossi" (con programmi naturalmente politici e non sportivi) mentre sulla stampa socialista viene pubblicizzato il "Ciclo Avanti" e il "Carlo Marx", il "pneumatico dei socialisti Italiani"... Oggi, come si è detto, basta passare dalle parti del
Tribunale, in Via Rosaspina, per rendersi conto, senz'ombra di dubbio, che
avvocati, magistrati, consulenti tecnici e cancellieri si recano quasi tutti al
lavoro -e volentieri- in bicicletta, contrariamente a quei rappresentanti del
proletariato che si infilibiscono per il posto auto garantito a pochi metri
dalle loro riverite scrivanie. Per non parlare dei dintorni. Giuliano Bonizzato da “Cronache Malatestiane”
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